La nicchia - numero 54 - Dai Wangshu, “Il poeta del vicolo nella pioggia”

Dai Wangshu, nato ad Hangzhou (Zhejiang) nel 1905, fu uno dei primi protagonisti della “nuova poesia” che accompagnò i grandi cambiamenti politici, sociali e linguistici nella Cina del nuovo XX secolo. Culturalmente, questi primi decenni furono caratterizzati da anarchia e novità – finita l’epoca imperiale nel 1912, il “Movimento di nuova cultura” (che ha come data simbolica il 4 maggio 1919) rivoluzionò il modo di scrivere: gli scrittori e i poeti incominciarono a usare il cinese vernacolare (baihua) invece della lingua letteraria classica in uso da secoli; sperimentarono nuove forme letterarie e tradussero la letteratura straniera (occidentale e asiatica – vedi l’esempio di Tagore); si moltiplicarono in ogni luogo nuove riviste e società letterarie (come la “Società della Luna Nuova”, fondata da Xu Zhimo).

Nel 1926 Dai lanciò insieme ad altri due poeti la rivista Ying Luo (“Collana di giada”), dove venne pubblicata la sua prima poesia, “Esco di casa con gli occhi pieni di lacrime”; del ’27 è quella per cui divenne famoso, Vicolo nella pioggia (entrambe più sotto in traduzione). Avvicinatosi al cosiddetto Haipai, il “movimento neosensista” degli anni ’30 e ’40 di Shanghai (al centro di un dibattito, in opposizione al Jingpai di Pechino, intorno al ruolo politico dello scrittore a cui parteciparono i maggiori scrittori dell’epoca, incluso Lu Xun), fu attivo in diverse riviste letterarie fino alla morte: spiccano la rivista shanghaiese “Modernità” (Xiandai), fondata nel 1932, e “Nuova Poesia” (Xin Shi) nel 1936 con altri celebri poeti contemporanei come Liang Zongdai e Bian Zhilin.

Lo stile o i contenuti della nuova poesia (dal sopracitato Xu Zhimo, a Wen Yiduo e Guo Moro) furono profondamente influenzati dalla letteratura straniera. Scrive uno studioso cinese: “La nuova poesia moderna (xin shi) e il teatro moderno (huaju) cinesi, sono entrambi considerati ‘generi stranieri’, il loro compito fu di ‘importare’, di ‘distruggere il vecchio e stabilire il nuovo’, cioè di rompere i legami con la poesia e il teatro tradizionali, per avanzare e innovare; ma allo stesso tempo, di formare gradualmente alcune ‘caratteristiche cinesi’, così da mettere le radici nel suolo della cultura come nel cuore dei lettori e del pubblico cinesi: da cui le sfide, le difficoltà, la complessità e tortuosità che hanno caratterizzato l’intero sviluppo, ancora in corso, della poesia e del teatro cinesi moderni.” (Qian Liqun)

Dai cominciò a studiare la lingua francese all’Università Aurora dei gesuiti di Shanghai, e in Francia continuò gli studi venendone influenzato dalla letteratura – di cui fu prolifico traduttore – in specie la poesia “fin de siécle”, il simbolismo, il post-simbolismo di Francis Jammes e il quasi-surrealismo à la Supervielle. Per questo, viene etichettato spesso come “poeta di scuola francese”, o “simbolista” e “modernista”: fu ad ogni modo l’esponente di punta di quelli che un autore contemporaneo identificava come i “Moderni”. L’audace tentativo di questa seconda innovativa fase della “nuova poesia”, fu “di arricchire il linguaggio poetico fondendo la vecchia dizione classica con la sintassi europea” (Bian Zhilin): guardare i semplici oggetti della modernità in arrivo – una sigaretta, una penna, una bottiglia di vino – ed esprimere le sensazioni dei moderni come un poeta classico.

Dai ha lasciato tre raccolte poetiche, La mia memoria (1929), Bozzetti di Wangshu (1933), Tempo di catastrofi (1948). Passò da un primo simbolismo, caratterizzato da “versi oscuri, carichi di arcaismi e di tristezza”, alla ricerca di “uno stile nuovo, semplice e chiaro” in cui “la tristezza non è assente, ma non sempre si rifiuta la realtà”, a una terza fase “patriottica” coincidente con l’invasione della Cina da parte dei Giapponesi (1937) – per cui, fuggito a Hong Kong, venne imprigionato –, a cui seguì un “ritorno all'oscurità e alla tristezza” (parole di Ai Qing, altro grande poeta del XX secolo a cui si deve la fama posteriore di Dai Wangshu, ripubblicandolo con una prefazione nel 1957).

Tornato a Pechino con la vittoria dei comunisti, morì “per overdose di un farmaco per l'asma” nel 1950, a soli 45 anni. “È la storia di vita di un poeta, non segnata da legami degni di nota con eventi nazionali – Dai non era certo un animale politico – ma con tutto il pathos dell'uomo cinese moderno: ambizione letteraria giovanile, studi in Francia, fallimenti coniugali, prigione per la resistenza all'occupazione giapponese, [infine la] salute compromessa […]. La tragedia di una generazione, di più di una generazione, di un'intera cultura moderna, è implicita […] in un'istantanea del giovane cosmopolita a bordo del transatlantico che lo avrebbe portato in Francia nel 1932. Bello, elegante, dotato e destinato al tradimento da parte della bella fidanzata al suo fianco, all'inaridimento del suo talento poetico di lì a qualche anno, alla miseria in tempo di guerra a Hong Kong e alla morte precoce.” (Cyril Birch)

 “Il poeta del vicolo nella pioggia”, come ancora è chiamato, in un periodo di crisi e trasformazione del paese ispirò una generazione di poeti e scrittori – come scriveva Ruben Darìo,non servono scuole; servono poeti” (“no hay escuelas; hay poetas”).

 

*

 

Vicolo nella pioggia (1927)

 

Sotto l’ombrello di carta oleata, solo

vago per il lungo

e silenzioso vicolo nella pioggia

sperando di incrociare

una ragazza triste

come il lillà

Del lillà ha

lo stesso colore

la stessa fragranza

la stessa tristezza

un lamento sotto la pioggia

che vaga


Vaga nel silenzio di questo vicolo nella pioggia

sotto l’ombrello di carta oleata

come me

come me

cammina solitaria

fredda, cupa e malinconica

 

In silenzio si avvicina

si avvicina e si allontana

lo sguardo come un sospiro

passa

come un sogno,

come un sogno triste e confusa

Come un lillà che passa

in sogno

mi passa accanto la ragazza

muta si allontana, si allontana

rasente al muro crollato

fino in fondo al vicolo sotto la pioggia
 

Nel canto triste della pioggia

si è consumato il suo colore

e dispersa la sua fragranza,

dissipati addirittura il sospiro

del suo sguardo

del lillà la tristezza 

 

Sotto l’ombrello di carta oleata, solo

vago per il lungo

e silenzioso vicolo nella pioggia

sperando di incrociare

come il lillà

una ragazza triste

 

 

Dolore (1930)

 

Dici dell’afflizione della solitudine in autunno,

dici del desiderio di mari lontani.

Se qualcuno mi chiedesse del mio dolore,

non oserei dire il tuo nome.

 

Se qualcuno mi chiedesse del mio dolore,

non oserei dire il tuo nome.

Dici del desiderio di mari lontani,

dici dell’afflizione della solitudine in autunno.

 

 

Esco di casa con gli occhi pieni di lacrime (1926)

Una fioca lampada,

la foschia della pioggia,

l’oscurità prima dell’alba:

la desolazione

occupa il fondo del mio triste cuore.

 

Nell’opprimente solitudine,

dormi un sonno profondo;

io cammino su e giù senza posa,

solo esco di casa con gli occhi pieni di lacrime:

o quanto sono afflitto!

 

Gli spogli lampioni

sulla superficie delle macchine vanno:

nel mio cuore,

ho perso la mia gioia,

già si avvicina l’amaro del dolore.

 

 

A un amico (18 maggio 1936)

 

Non capisco perché si diano alle stelle

dei nomi di cui non hanno bisogno,

vagano libere nello spazio, senza turbamenti

non ci capiscono, né cercano fama.

Sirio, Nettuno, l’Orsa Maggiore… questa grande massa,

le loro parti e la loro posizione,

spremiti il cervello, rompiti la testa

una vita intera, l’universo rimane sconosciuto.

Le stelle vanno e vengono, l’universo si espande,

cambiano le stagioni, gli uomini nascono e muoiono,

il sole non ha misura e lo spazio è infinitamente grande:

non viviamo che un istante, minuscoli insetti estivi, rane in un pozzo.

Se non sei stupido o sordo, non diventare padre o madre,

la Via migliore per un uomo è di restare ignorante,

accontentarsi di stare in superficie, guardare davanti a sé,

guardare il cielo, le stelle, la luna, il sole.

E le montagne, l’acqua, le nuvole, il vento,

lo scorrere delle stagioni,

e la stupidità degli uomini, la loro vana operosità:

guardare in silenzio, qui è la gioia.

Qui è la gioia, fuori dal tempo e dallo spazio,

io e la mia gioia abbiamo superato tutti i confini,

sono io stesso un universo, con il sole, la luna e le stelle,

perché tu, studiando fino alla vecchiaia, lo possa scrutare.

O potrei trasformarmi in una strana cometa,

che vaga e si ferma a suo piacere nello spazio,

la mia traiettoria non calcolabile da uomo, incomprensibile la mia regola,

e frantumerei il sole in mille fuochi, colpirei la terra facendone fango.

 

 

Penso (1937)

 

Penso, dunque sono una farfalla…

La lieve voce di un fiore dopo dieci mila anni,

viene attraverso il fosco dormiveglia,

vibrano le mie ali luccicanti e multi-colore.

 

 

Uccello del Paradiso (1932)

 

Vola, vola, primavera, estate, autunno, inverno,

di giorno, di notte, senza posa,

Uccello del Paradiso dalle ali in fiore,

è questa la felicità del vagare delle nuvole –

o è eterna pena di schiavitù?

 

Quando hai sete bevi la rugiada,

quando hai fame bevi la rugiada,

Uccello del Paradiso dalle ali in fiore

sono queste delicatezza da dei –

o è nostalgia del cielo?

 

Vieni dal paradiso –

o verso il paradiso vai?

Uccello del Paradiso dalle ali in fiore

nel vasto e opaco cielo blu,

senti desolata la tua strada?

 

Se davvero vieni dal paradiso,

ci puoi dire

Uccello del Paradiso dalle ali in fiore

da com’era il giorno in cui Adamo ed Eva vennero cacciati

quant’è ora cresciuto selvaggio e incustodito il giardino?

 

 

La mia memoria (1929)


La mia memoria mi è fedele,

più fedele ancora dei miei amici.

 

È su una sigaretta accesa,

è sulla mia penna decorata di gigli,

è su un logoro portacipria,

è sul rampicante del muro in rovina,

è sulla bottiglia di vino mezzo bevuta,

sui frantumi di vecchi manoscritti, sui petali seccati,

su una cupa lampada, sull’acqua calma,

su ogni cosa con o senza un’anima,

è su ogni luogo, come sono io su questa terra.

 

È timida, teme gli schiamazzi della gente,

ma quando sono solo, di nascosto mi viene a fare visita.

La sua voce è debole,

ma parla a lungo, a lungo,

a lungo, di cose senza importanza, e non la finisce mai;

parla di cose antiche, dice sempre la stessa storia,

il suo tono è armonioso, canta sempre la stessa canzone

a volte imitando la voce di una graziosa ragazza,

la sua voce non ha forza,

e trattiene lacrime e singhiozzi.

 

Le sue sono visite inaspettate,

non importa il tempo, né il luogo,

spesso quando mi corico a letto, assonnato prima di dormire;

oppure sceglie una mattina presto,

alcuni dicono non sia educata,

ma siamo vecchi amici.

 

È loquace e non vorrebbe mai smettere,

a patto che non mi metta a piangere all’improvviso,

o che non sia in un sonno profondo,

ma non potrei mai disprezzarla,

perché mi è più fedele di un amico.

 

L’articolo e la traduzione sono di Alessandro Burrone