La nicchia - numero 58 - Van Toorn e Holzhaus: i paesaggi dell’amore nella poesia nederlandese

Willem van Toorn e Ineke Holzhaus: uniti nella vita così come nella poesia. Willem Van Toorn, uno dei poeti più riconosciuti di lingua nederlandese, nato nel 1935 ad Amsterdam, dove ha vissuto da bambino gli anni dell’occupazione tedesca, esperienza che ritorna spesso nelle sue opere. È stato per anni insegnante alle scuole primarie e secondarie di primo grado e, dal 1989 al 1992, docente presso il Dipartimento di Studi Culturali dell’Università di Amsterdam. Risiedeva nel Berry, in Francia, dove purtroppo ha chiuso gli occhi il 31 maggio 2024. Non gli occhi della sua poesia, però, che continuano a guardare i paesaggi nei quali si era immerso, anche quelli emotivi di numerosi lettori. “La poesia di Van Toorn si fa volere bene, perché non mostra mai i muscoli” scrive Roberto Galaverni sul Corriere della sera del 3 maggio 2021 a proposito della sua ultima raccolta pubblicata in Italia I giorni, edita da Di Felice Edizioni. “È una poesia di curve e linee nitide e precise, di misurazioni dell’esistente esatte ma sempre molto rispettose, gentili. Per questo tante volte ci guadagna da una seconda o terza lettura.”

Nella sua intensa attività letteraria che si snoda tra romanzi, racconti, raccolte poetiche, traduzioni e importanti contributi al dibattito sullo spazio verde, non poteva mancare un legame speciale con l’Italia: traduttore in nederlandese di Cesare Pavese, Franco Loi e Paolo Ruffilli, ha pubblicato in italiano le raccolte di versi Gioco di simulazione (Fondazione Piazzolla), Paesaggi (Edizioni del Leone), Il lago artificiale, La camera dei ragazzi, I giorni (Di Felice Edizioni).

Proprio lo scorso anno, ad ottobre, era venuto in Abruzzo insieme alla moglie Ineke Holzhaus, poetessa, drammaturga, regista teatrale dal timbro profondo e contemplativo, nata nel 1951 nei Paesi Bassi. Insieme, in una complicità che esprimeva tutta l’attitudine all’amore, avevano incontrato i lettori con quella disponibilità genuina al dialogo che appartiene alle anime più aperte alla gentilezza e per questo più ricettive della vita.

Sì, perché sia Willem che Ineke sono poeti in ascolto diretto con l’unico centro gravitazionale che dovrebbe sostenerci: la luce. La luce della bellezza, la luce dei giorni, la luce di uno sguardo che sa comprendere – cioè abbracciare – il senso dello stare al mondo. La luce che riduce i coni d’ombra. La luce che sa individuare la trama dei ricordi, soprattutto quelli che rendono ancora possibile l’emozione di un quotidiano familiare.

Ne è un esempio La camera dei ragazzi di Willem Van Toorn, un’opera fluttuante tra tempi esterni e tempi interni, in cui l’io poetico, personificato da W (terzo figlio di una famiglia di provincia che per motivi economici si trasferisce ad Amsterdam), ripercorre le tappe della sua vita ed espande attraverso la poesia quell’orizzonte che è la «striscia di pensieri che scorre tra terra / e aria insondabile». La camera dei ragazzi diventa «una segreta grotta al buio quando il lavoro si ferma», dietro la sartoria del padre, il luogo dove W con i suoi fratelli parla di cose proibite, si confronta su temi politici e religiosi, inizia ad avere le prime intuizioni sul mondo, un mondo che conosce la seconda guerra mondiale e le sue inesorabili conseguenze. Anche più in là con gli anni, dopo che W è diventato un insegnante, ha trovato l’amore, è tornato nella sua Amsterdam “rinata”, l’io della narrazione poematica rivive i ricordi e con essi la purezza disincantata – e per questo coraggiosa – di un ragazzo che ritrova la sua Origine.

E ancora I giorni di Van Toorn, una raccolta in cui la parola tesse la filigrana del tempo e degli incontri, quelli importanti, quelli che affondano le orme nella memoria del cuore.

Anche Ineke Holzhaus, attraverso una diversa e altrettanto matura fisionomia letteraria, si addentra nel magma della creazione poetica, calcando maggiormente i chiaroscuri dell’ispirazione. Si presenta ai lettori italiani con la raccolta Controluce nel 2020 (un’antologia delle poesie più rappresentative tratte dai libri editi tra il 2008 e il 2016) e poi In luce nel 2023.  

Una poesia sensoriale, la sua, che si fa rievocazione di ricordi fotografici ed esorcizza l’impermanenza del nostro essere nel tempo. Ineke Holzhaus sa trarre materia prima dalla realtà, attraverso un’attenta corrispondenza con ciò che abita l’orizzonte visivo. La luce diventa l’antidoto contro il disamore, allontana il pensiero della finitudine dilatandone i contorni delle cose. Come suggeriscono i due titoli delle raccolte, la luminosità diventa la porta interiore principale di queste liriche.

 

Ma il nostro più vecchio paesaggio è un altro. L’orizzonte,

una striscia di pensieri che scorre tra terra

e aria insondabile. Leoni meramente araldici.

Un’infanzia di aironi, passeri, talpe. Ranuncoli in muffe


gonfie lungo strade rettilinee nel polder, falsa ortica.

Rane e pesci predatori nei fossati, nell’acqua – acqua

di ogni dove, specchio celeste, messaggera d’alture

 

dove il fiume nacque. In controcorrente

frutteti, orti, la tua terra sabbiosa. Devoto canto    

di voci antiche. Parlata regionale madrelingua. Origine.

                            Willem van Toorn, da La camera dei ragazzi, traduzione di Patrizia Filia, 2020.

 

RIPARO

 

Come se ne sta qui l’aria:

come se una mano

avesse sollevato prudente il tetto

e i muri di una casa la cui forma

però è rimasta invisibilmente intatta

là fuori nell’aria rarefatta.

 

E poi come dentro siedi

con luce che pare uscirti dalla pelle

e la tua musica intorno

che per raggiungermi

non riescono ancora a sfondare

il confine tra queste densità.

 

C’è una nuvola lì? Silenzio,

fra un momento si leverà il vento.

                            Willem van Toorn, da I giorni, traduzione di Patrizia Filia, 2021.

 

 

AMORE

 

se non fai attenzione la luna scorre

oltre fischiata da un gufo galante lungo

il tuo amorevole capo. È una notte luminosa ora

che abbiamo appianato la siepe, segato tronchi

 

portato via foglie brunite, fatto spazio,

ci muoviamo tra restare e andare

l’estraneo è qui più familiare e preferibile

all’intontito mondo fuori immagine. Anche  

 

d’inverno abitiamo la terrazza, tocchiamo

vecchi alberi e insieme intimi con vista sul

campo convesso come un lenzuolo – tutto muove

ciò che sta fermo e guardiamo fino all’indomani.

                    Ineke Holzhaus, da Controluce, traduzione di Patrizia Filia, 2020.

 

 

E non lasciarmi amore

e non lasciarmi

 

lascia che nevichi disse lei

e nevicò

 

il vuoto esiste grazie

alla ciotola di porcellana

che lo racchiude

 

il vuoto tutto colmo

di fiocchi di neve

 

seguono i passi

scomparsi.

                  Ineke Holzhaus, da In luce, traduzione di Patrizia Filia, 2023.

 

Valeria Di Felice