La nicchia - numero 61 - Luis Cernuda, il sangue e la polvere

Si el hombre pudiera decir.

Si el hombre pudiera decir lo que ama,
si el hombre pudiera levantar su amor por el cielo
como una nube en la luz;
si como muros que se derrumban,
para saludar la verdad erguida en medio,
pudiera derrumbar su cuerpo,
dejando sólo la verdad de su amor,
la verdad de sí mismo,
que no se llama gloria, fortuna o ambición,
sino amor o deseo,
yo sería aquel que imaginaba;
aquel que con su lengua, sus ojos y sus manos
proclama ante los hombres la verdad ignorada,
la verdad de su amor verdadero.

Libertad no conozco sino la libertad de estar preso en alguien
cuyo nombre no puedo oír sin escalofrío;
alguien por quien me olvido de esta existencia mezquina
por quien el día y la noche son para mí lo que quiera,
y mi cuerpo y espíritu flotan en su cuerpo y espíritu
como leños perdidos que el mar anega o levanta
libremente, con la libertad del amor,
la única libertad que me exalta,
la única libertad por que muero.

Tú justificas mi existencia:
si no te conozco, no he vivido;
si muero sin conocerte, no muero, porque no he vivido.

Luis Cernuda,  Los placeres prohibidos (1931)

 

Se l’uomo potesse dire

Se l’uomo potesse dire ciò che ama,

se l’uomo potesse portare il suo amore verso il cielo

come una nuvola nella luce;

se come muri che crollano,

per salutare la verità nascosta,

potesse far crollare il suo corpo,

lasciando solo la verità del suo amore,

la verità di se stesso, che non si chiama gloria, fortuna o ambizione,

ma amore o desiderio,

 io sarei colui che immaginavo;

colui che con la sua lingua, i suoi occhi e le sue mani

dice agli uomini la verità ignorata,

la verità del suo amore vero.

Libertà non conosco se non la libertà di essere prigioniero di qualcuno

il cui nome non posso sentire senza un brivido;

qualcuno per cui mi dimentico di questa esistenza futile

per cui il giorno e la notte sono per me ciò che vuole,

e il mio corpo e spirito fluttuano nel suo corpo e spirito

come tronchi dimenticati che il mare inabissa o solleva

liberamente, con la libertà dell’amore,

l’unica libertà che mi esalta, l’unica libertà per cui muoio.

Tu giustifichi la mia esistenza:

se non ti conosco, non ho vissuto;

 se muoio senza conoscerti, non muoio, perché non ho vissuto.

 

Luis Cernuda è considerato uno dei poeti più rappresentativi della Generazione del ’27, e di quel movimento incorpora l’attitudine iconoclasta e antiborghese. Nato a Siviglia nel 1902, trova negli scritti di André Gide una guida nel percorso di espressione della propria omosessualità. L’educazione repressiva del padre militare, unita all’ambiente retrogrado e bigotto in cui cresce, non mitigano il suo desiderio di libertà, rendendolo anzi un giovane determinato. Ciò non toglie che l’esperienza di vita del poeta sia stata di continua ricerca e fuga, un percorso che culmina con il definitivo abbandono della Spagna, e in seguito dell’Europa, a partire dallo scoppio della Guerra Civile. Amico, tra gli altri, di Pedro Salinas,  Manuel Altolaguirre e Octavio Paz, ha creato un’opera dove i temi dell’isolamento, la sofferenza dell’inappartenenza, la ricerca di un proprio equilibrio, non offuscano mai del tutto la luce che filtra tra le nubi. Poeta dell’alienazione e dello sradicamento, Cernuda mostra sempre pietà per la condizione umana, non lascia mai che la rabbia e la frustrazione invalidino la ricerca della libertà personale.

“Si el hombre pudiera decir” appartiene a una delle prime raccolte, Los placeres prohibidos, del 1931. Siamo in quella che Paz ha definito come la “seconda fase” della produzione dell’artista, quella della giovinezza. Fase prettamente surrealista caratterizzata da un’assertività dirompente che in seguito verrà mitigata anche dal bisogno di entrare in contatto con il mondo in ogni suo aspetto, alla ricerca di una socialità non elitaria ma bensì stratificata e inclusiva.

In questa poesia, nitida e marmorea, a tratti ingenua, il poeta dichiara un desiderio, un bisogno profondo che trascende il corpo (ma non lo tradisce), in una prima fase distruttiva, per poi al corpo stesso ritornare. Solo dopo esserci liberati, dicendo il proprio desiderio, possiamo lasciarci imprigionare nell’amore, consapevoli. Le immagini sono talmente cesellate e prive di ombre che la dimensione onirica ci rende universali. La terzina finale

Tú justificas mi existencia:
si no te conozco, no he vivido;
si muero sin conocerte, no muero, porque no he vivido.

ci restituisce al mondo, siamo i sopravvissuti di un naufragio e cerchiamo l’altro che ci riporti all’uno. Senza quell’unità, frutto della morte nell’amore, viviamo inutilmente, faccia a terra, annaspando.

 

La traduzione della poesia e il suo commento sono di Elena Cattaneo